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I ricordi d'infanzia di Luigi Porri
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I ricordi d’infanzia di Luigi Porri - 5a parte

di Vittorio Buttafava [12 dicembre 2005]

................ c'erano 3 pullman che partivano, e alla stazione c'era quasi tutto il paese a salutarci.

Ma quando siamo arrivati ad Alessandria eravamo una quarantina, perché gli altri erano stati presi dai tedeschi.

L' 8/6/1942 siamo partiti per il fronte russo. Nove giorni di tradotta da Alessandria a Simi vicino a Karkov.

Da li' in marcia verso Kalomar dove si era raggruppata tutta la Divisione Ravenna.

Il 24/6 siamo partiti in marcia per arrivare sul Don dove siamo arrivati l'undici agosto.

Sempre in marcia carichi con cassette di munizioni e zaino, avevamo sulle spalle 45 kg di peso. L'undici agosto ci siamo posizionati nelle trincee sul Don. Ai nostri fianchi avevamo le truppe russe. Il giorno 16 dicembre è iniziata l'offensiva dei russi. Fu un fuoco continuo di mortai, artiglieria ed aviazione, e noi eravamo in mezzo alla steppa.

Ricordo che una bomba fini' proprio in una buca fatta dagli autieri, gli autisti dell'esercito, e sono morti in almeno una dozzina. Lo sgomento era tanto, tanti soldati, anche ufficiali e sottoufficiali erano bloccati dallo spavento, erano ancora vivi, ma era come se fossero morti, erano come tronchi d'albero.

Dal gelo spesso nemmeno gli aerei potevano mettersi in volo. Il Colonnello Naldone rispettando le direttive dei superiori ordinò la ritirata facendoci dividere in due linee, sinistra e destra. Io andai nella linea destra dove c'erano anche feriti congelati sulle slitte. Arrivati a Bogushar, c'erano ufficiali italiani che cercavano di arginare la ritirata, cercando di raggrupparci tutti. Invece sono arrivati i Samoiot, gli apparecchi russi che ci hanno bombardato, hanno scompigliato tutto e ognuno si è ritrovato nella steppa bivaccando per proprio conto.

Si camminava senza sapere dove si andava. Anche gli ufficiali seguivano un cammino a caso. Si arrivava a dei passaggi obbligatori in mezzo alla vallata dove l'aviazione sovietica attaccava. Passavamo sopra questi corridoi in mezzo alla neve, sopra bestie morte, carri rotti, cadaveri, cercando di fare in fretta per salvarsi. E quella notte un mio amico commilitone Emilio Grandis, morto nel 2004, mi diceva: " Abbandonami perchè non ce la faccio più." Io invece cercavo di portarlo un po' sulle spalle, un po' lo trascinavo sulla neve, e sono riuscito a portarlo a Kantamirov da dove si è ripreso piano piano. In gennaio il termometro scendeva anche fino a 40 gradi sottozero.

Il nostro comando vedendo la superiorità dei russi, ci ha ordinato di metterci in fila e correre il più possibile cercando di rompere l'accerchiamento. Riuscimmo nell'intento, ma la notte seguente dovemmo fuggire ancora. Notte e giorno c'era più da camminare che da riposare. Tanti poveri ragazzi stremati si sedevano e non si alzavano più.

Quando si poteva si trovava un po' di riposo in una isba, dove ci si poteva riparare dal freddo e cercare di rifocillarsi.

Le isbe sono misere casupole in mezzo alla steppa, col telaio in legno e le mura fatte di fango, paglia e calce e col pavimento in terra battuta.

Dobbiamo ringraziare la gente di queste isbe che ci ospitava per qualche ora, e poi ci indicava la direzione da prendere per non finire sul percorso dei russi. Ricordo che bussammo a una di queste isbe, non ci fu aperto, noi allora sfondammo e ci trovammo davanti a sei partigiani russi. Ci fu chiesto se eravamo italiani e se avevamo mangiato. Noi rispondemmo di si' ma loro ci vollero offrire una zuppa fatta di verze, patate e cipolle. Noi eravamo titubanti e allora uno di loro assaggiò lui stesso la zuppa. Siamo rimasti là a dormire e quei partigiani prima di dormire ci hanno dato la mano per assicurarci che non ci avrebbero fatto del male. Il mattino dopo partimmo, i partigiani russi ci salutarono augurandoci un rapido ritorno a casa, che voleva significare la fine della guerra anche per loro.

Noi italiani eravamo in Russia per distruggere e conquistare, loro per difendere la loro patria. I capi di Stato hanno ordinato la guerra, ma chi la fa, almeno in quel caso, si era comportato da amico, anzi da fratello.

Questa esperienza ci sbalordì positivamente. Nella seconda metà di febbraio poi le cose si placarono un po', i russi avevano raggiunto il loro scopo, e anche noi eravamo più calmi nelle ultime marce. Nella notte tra il 2 e il 3 marzo ci siamo fermati a Zinkastar e li' finalmente ci venne data la possibilità di lavarci e cambiarci. Eravamo conciati perchè da dicembre non ci eravamo mai cambiati.Eravamo unti e bisunti, con barba lunga, pieni di pidocchi, fisicamente sfiniti e moralmente conciati. Ormai tra di noi ci riconoscevamo dal parlare che non dalle sembianze, anche la nostra forma scheletrica si era deformata. Ci siamo fermati lì fino a fine aprile.

Il 30 aprile 43 abbiamo messo piede sulla tradotta verso l'Italia e il 9.5.43 siamo arrivati a Vipiteno. Qui ci hanno visitato, sono stati riscontrati casi di tifo petecchiale e allora siamo stati trasferiti a Bressanone dove siamo rimasti fino a fine maggio tenuti in osservazione per diverse settimane. Finalmente siamo ripartiti per la caserma di Alessandria .

In luglio venni poi trasferito a Orbetello a fare il guardiacosta, ma senza armi. Nelle postazioni c'erano delle sagome anzichè delle vere mitragliatrici! Però tutte le notti dovevamo partire verso un paese o l'altro per far vedere che le truppe erano tante, mentre invece eravamo sempre noi.

Siamo arrivati a Follonica, quando dopo l' 8 settembre 43 eravamo bloccati dai tedeschi. Il nostro colonnello Boeri si era arreso ai tedeschi e ci chiese di portare il nostro materiale presso un deposito dei tedeschi, distante alcune decine di chilometri. Ma il colonnello stesso ci disse di fare i furbi e lasciare invece cavalli, camion e quant'altro alla popolazione in cambio di sigarette. Siamo poi tutti scappati e tornati finalmente nelle nostre case. Binasco era controllata dai tedeschi. Ricordo che a Milano me lo disse un bigliettaio che mi conosceva. Ma io gli dissi: "Adesso che sono arrivato a Milano voglio raggiungere Binasco."

A Binasco dovetti subito nascondermi nel "capascè", in soffitta, per sfuggire al controllo dei tedeschi che erano in giro a fare perlustrazioni. Io e la mia famiglia non avevamo nè tessere nè niente. Avrei dovuto presentarmi nelle Leve Giovani, come le chiamavano.Tanti si presentavano, ma tanti no e si davano invece alla campagna.Allora io prendevo la mia bicicletta e se potevo tirar su qualcosa da mangiare o qualche sigaretta andavo nei campi a portargliele.

Quando fu costituito il comitato di liberazione nazionale dei partigiani non vi partecipai perchè ero stanco della guerra, ma se potevo li aiutavo portando qualcosa.

Ci furono poi i bombardamenti a Binasco di cui sappiamo. Subito dopo quello del 12 gennaio 45 andai ad aiutare a rimuovere le macerie, per tirar fuori i morti, queste sono cose che rimangono impresse.

Nella mia compagnia in Russia eravamo in undici da Binasco. Ricordo alcuni nomi oltre a quegl'undici: Gelmetti, Bonalumi,Losio,Calegari,Magnaghi,Re,Longhi,Astori,Tondù,Verri,Sap,Castoldi,Liberto,Delissandri,Saltarelli,Broglia,Cerri.

Molti di loro sono morti là.

Spesso e anche di recente, sono stato invitato presso scuole elementari e medie di Binasco e dintorni per parlare della mia esperienza vissuta.

Ho avuto la soddisfazione di vedere che alla fine del mio discorso mi venivano fatte tante domande con vero interesse. La mia generazione ha passato una gioventù distrutta per volontà di altri, gli anni più belli abbiamo dovuto spenderli per la Patria. Ma d'altra parte, secondo me il benessere d'oggi ha distrutto i valori più belli e non so che avvenire hanno davanti i giovani d'oggi, ai quali faccio comunque migliori auguri possibili.